CONTROPIANO

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Giornale comunista

venerdì 20 gennaio 2017

21 Gennaio 1921 - 21 Gennaio 2017

Il 21 Gennaio 1921: nasceva a Livorno

il Partito Comunista d'Italia

    Una grande vittoria del proletariato italiano!

Novantasei anni sono trascorsi dal giorno in cui i delegati di 58.783 comunisti - la parte più avanzata e consapevole della classe operaia del nostro paese – si separò dai socialisti e fondò nel Teatro San Marco di Livorno il Partito Comunista d'Italia – Sezione dell'Internazionale Comunista.
Fu una decisione di portata storica, che dette per la prima volta alla classe operaia italiana il suo partito rivoluzionario, fondato sui princìpi di Marx, Engels e Lenin e sulle basi ideologiche e organizzative stabilite dalla Terza Internazionale.
Nei punti 2, 3 e 7 del  programma adottato dal nuovo Partito il netto distacco dal riformismo socialdemocratico dei Turati e dei Treves e dall'inconcludente massimalismo dei serratiani veniva espresso con la massima chiarezza:
“2. Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l'organo per la difesa degli interessi della classe capitalistica.
3. Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borghese.
7. La forma di rappresentanza politica dello Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio e prima stabile realizzazione della dittatura del proletariato”.
Quattro mesi dopo Livorno, Antonio Gramsci così commentava quelle decisioni congressuali in un articolo dell'Ordine Nuovo, dal titolo tagliente e significativo:“Socialista o comunista?”:
“Credono i proletari che gli organismi della classe borghese possano servire come organi di governo anche per la classe proletaria, che essi possano servire a dare libertà e giustizia ai lavoratori, mentre sino ad oggi sono serviti solo a dare ad essi schiavitù e tormenti? [… ] Bisogna che il potere stesso passi ai lavoratori, ma essi non potranno mai averlo fino a che essi si illudono di poterlo conquistare ed esercitare attraverso gli organi dello Stato borghese.
… Occorre che dominatori di tutta la società diventino gli operai, i contadini, i lavoratori di ogni categoria, che essi abbiano il potere e lo esercitino attraverso istituti nuovi, i quali diano alla società una nuova forma e una disciplina di ordine e di lavoro per tutti. Occorre che ogni altra lotta sia subordinata a quella per la conquista del potere, per la creazione del nuovo Stato, dello Stato degli operai e dei contadini” (13 maggio 1921).
Fu necessaria la scissione? Se, come osservò Gramsci in un altro articolo, il non essere riusciti, i comunisti, a portare nel nuovo Partito la maggioranza dei congressisti di Livorno giovò indubbiamente alle forze reazionarie, non vi è dubbio che la nascita della Sezione italiana dell'Internazionale Comunista fu un grande risultato storico, una grande vittoria dei proletariato italiano.  Per quale ragione?
Perché il Partito Socialista non era che un amalgama di almeno tre partiti; è mancato in Italia  nel 1919-20 un partito rivoluzionario ben organizzato e deciso alla lotta. Da questa posizione di equilibrio instabile è nata la forza del fascismo italiano, che si è organizzato e ha preso il potere […]  Noi siamo persuasi che sia condizione preliminare per iniziare la trasformazione dell'economia da capitalista in socialista il possesso del governo, la rottura  completa degli attuali rapporti politici, lo schiacciamento fisico della reazione e della classe dominante. Il processo di trasformazione sarà più o meno rapido a seconda dello sviluppo delle forze economiche; esso può essere iniziato però in tutti i paesi dell'Europa e dell'America e in una serie di paesi degli altri continenti; ma può essere iniziato dopo la conquista del potere, in regime  di dittatura del proletariato(Gramsci,“L'Unità”, 26 settembre 1926).
E ancora:  “L'occupazione delle fabbriche non è stata dimenticata  dalle masse  e non solo dalle masse operaie, ma anche dalle  masse contadine. Essa è stata la prova generale della classe rivoluzionaria italiana. [… ] Se il movimento è fallito, la responsabilità non può essere addossata alla classe operaia come tale, ma al Partito socialista, che venne meno ai suoi doveri, che era incapace e inetto, che era alla coda della classe operaia e non alla sua testa. [… ]  Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità delle masse; in realtà i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne  la rottura di Livorno e si creò un nuovo partito, il Partito comunista” (Gramsci, “L'Unità,” 1° ottobre 1926).
Di grande importanza per noi comunisti del XXI secolo è anche il processo unitario che portò alla fondazione del nuovo Partito negli anni Venti del secolo scorso. Come abbiamo ricordato su “Scintilla” del dicembre scorso, concorsero alla nascita del P.C.d’I. compagni provenienti da diverse esperienze di lotta che, nei convegni di Milano e di Imola del 1920, seppero costruire insieme quella frazione comunista che si presentò unitariamente a Livorno contro i riformisti e i serratiani.
Né va dimenticato l'importantissimo ruolo propulsivo svolto da Lenin personalmente e dalla Terza Internazionale per incoraggiare i comunisti italiani a rompere politicamente ed organizzativamente con le diverse anime dell’opportunismo riformista.
Oggi, dopo l'affossamento di quel partito rivoluzionario da parte del moderno revisionismo, del togliattiano cosiddetto “partito nuovo” e della sua fallimentare “via pacifica e parlamentare al socialismo”, il problema della costruzione del partito rivoluzionario, marxista-leninista, della classe operaia è di nuovo all'ordine del giorno.
Le ragioni che portarono alla costituzione del P.C.d’I. nel 1921 sono più valide e attuali che mai! La gravità della crisi generale del capitalismo, la situazione drammatica in cui la borghesia ha trascinato il nostro paese, devono spingere tutti i sinceri comunisti, gli operai d’avanguardia, le donne proletarie, i giovani rivoluzionari a moltiplicare gli sforzi per la costruzione di una forte organizzazione politica indipendente e rivoluzionaria della classe sfruttata, senza la quale non si può avere nessuna prospettiva di abbattimento del barbaro e morente sistema capitalistico.
Il Partito comunista – reparto di avanguardia organizzato e cosciente del proletariato - è lo strumento indispensabile per dirigere la lotta del proletariato per la conquista del potere politico, l’instaurazione della dittatura del proletariato e la costruzione della società pianificata dei produttori, il socialismo!
Ogni organizzazione proletaria comunista lavora per questo Partito e invita tutte le compagne e i compagni che condividono gli stessi principi e obiettivi a separarsi nettamente e definitivamente col revisionismo, il riformismo e l’opportunismo, a confrontarsi, cooperare e organizzarsi insieme per costruirlo!
Gennaio 2017

sabato 14 gennaio 2017

La conferenza sul comunismo

Dal 18 al 22 gennaio a Roma conferenze, workshop, una tavola rotonda, un’assemblea finale e una mostra nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Un’iniziativa di ESC – Atelier Autogestito e della Galleria Nazionale di Arte Moderna

La storia dei comunismi realizzati e immaginati, delle loro vittorie e delle loro sconfitte. Il Capitale contemporaneo. I comunisti di oggi e le loro pratiche. Il potere, lo Stato, il governo. L’estetica comune, il comunismo estetico, della “sensibilità”. Pensatori, ricercatori, attivisti da tutto il mondo riuniti nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre, per cinque giorni a Roma.
Con Étienne Balibar, Riccardo Bellofiore, Franco Berardi “Bifo”, Maria Luisa Boccia, Manuela Bojadžijev, Bruno Bosteels, Mario Candeias, Luciana Castellina, Pierre Dardot, Jodi Dean, Terry Eagleton, Marcelo Exposito, Silvia Federici, Roberto Finelli, Claire Fontaine, Michael Hardt, Augusto Illuminati, Christian Laval, Christian Marazzi, Giacomo Marramao, Morgane Merteuil, Sandro Mezzadra, Antonio Negri, Brett Neilson, Ceren Özselçuk, Alexei Penzin, Kaushik Sunder Rajan, Jacques Rancière, Saskia Sassen, Peter Thomas, Enzo Traverso, Mario Tronti, Marcel van der Linden, Manuel Borja-Villel, Paolo Virno, Slavoj Zizek…
Dal 18 al 22 Gennaio a Roma, ospiti di ESC – Atelier Autogestito e della Galleria Nazionale di Arte Moderna. Ogni giornata vedrà alternarsi una conferenza principale e un workshop, per ognuno dei cinque temi principali che strutturano l’evento.
L’accesso a tutti gli eventi di C17 è libero e gratuito, fino a esaurimento posti; sono previsti accrediti esclusivamente per la stampa.

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18 Gennaio


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19 Gennaio


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20 Gennaio


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21 Gennaio


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22 Gennaio


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Mostra

Oggi il comunismo non ha alternative. Proprio ora che sono dimenticati, non solo finiti, i socialismi reali e non c’è luogo sulla Terra in cui il desiderio comunista sia realizzato in solide istituzioni politiche. Oggi che il capitalismo non ha più limiti, paletti o riforme, e non smette di vincere. Se e quando produce, infatti, il Capitale non può che arrivare post festum, quando il Comune della cooperazione ha già preso corpo. Che si tratti di Sharing Economy o di Industria 4.0, l’innovazione produttiva poggia interamente sul «cervello sociale», cattura pratiche mutualistiche ed economia informale. Ma, soprattutto, il Capitale fugge la produzione e predilige la rendita, sia essa finanziaria o immobiliare. Per questo motivo primeggiano le recinzioni, dal land grabbing alla gentrification urbana, alla speculazione sulle commodities.
I «prerequisiti di comunismo» dilagano, nel soggetto produttivo (sempre più qualificato da linguaggio, affetti, mobilità) come nella discontinuità tecnologica (internet delle cose, svolta Social della Rete, intelligenza artificiale, ecc.); ovunque vengono negati. Sì, c’è un’alternativa al comunismo: una combinazione – la catastrofe del nostro tempo – che si chiama crisi e guerra. Non sarebbe la prima volta, il «Secolo breve» ce lo ha insegnato. Eppure c’è qualcosa di radicalmente nuovo: la crisi e la guerra non sono più evento-limite, ma regola. Non c’è guerra per esempio, tra quelle in corso, che non sia senza fine. Gli unici obiettivi, mai nominati e che pure emergono, coincidono con la destabilizzazione, sempre più profonda, di vaste zone del pianeta. Il mondo multipolare, figlio dell’esaurimento dell’egemonia americana, moltiplica i fuochi bellici. Guerre che nessuno vince e quasi tutti perdono. Ma la guerra è anche terrorismo, martirio, morte indiscriminata nelle metropoli d’Occidente; la guerra si combatte lungo i confini, contro i profughi, tra muri e filo spinato; la guerra è guerra ai poveri, guerra razziale, guerra alle donne. Anche la crisi è senza fine. I principali responsabili del disastro finanziario del 2008 continuano a comandare il mondo con montagne di denaro senza lacci, le disuguaglianze non smettono di aumentare, la classe media non esiste più, esistono solo straricchi e poi poveri e impoveriti. Tanto che, pare evidente, la povertà è diventata – a mezzo di esclusione come di politiche attive – dispositivo indispensabile per governare e sfruttare la forza-lavoro.
Il Capitale, per sopravvivere, per negare ogni giorno i prerequisiti di comunismo che pure animano produzione di valore e riproduzione sociale, deve fare a meno dello sviluppo, della democrazia, della pace, della sostenibilità ambientale; parole chiave, seppur spesso o quasi sempre tradite, dei «trent’anni gloriosi» e del riformismo a essi ispirato.
***
Nel marzo del 2009, al Birbeck Institute for the Humanities di Londra, si è svolto un affollato seminario dal titolo L’idea di comunismo. Le figure più prestigiose del pensiero radicale europeo e mondiale (Badiou, Nancy, Negri, Rancière, Žižek, per citarne solo alcune) si sono confrontate per ore, e di fronte a un pubblico ampio e appassionato, in merito alla parola maledetta, interrogando il paradosso della nostra epoca fin qui descritto. Il convegno è stato replicato negli anni successivi a Berlino, New York e Seoul. Tre importanti volumi dal titolo L’idea di comunismo – curati da Alain Badiou e Slavoj Zizek, principali organizzatori dei convegniche raccolgono interventi tratti da quei seminari sono stati pubblicati da Verso Books e da parecchi altri editori internazionali.
Ispirandosi alla serie L’idea di comunismo, un gruppo di ricercatrici e ricercatori italiane/i indipendenti e universitari, attiviste/i dei movimenti sociali, scrittrici e scrittori, editori, giornaliste/i organizza un convegno sul comunismo a Roma, che si svolgerà dal 18 al 22 gennaio del 2017. L’urgenza è chiara, oggi più di qualche anno fa: torna attuale l’adagio rivoluzionario, l’alternativa radicale che ha attraversato gli inizi del secolo scorso, «comunismo o barbarie».
A differenza dei seminari di Londra, Berlino e New York quello di Roma tenterà di affrontare l’idea del comunismo a partire da una pluralità di approcci disciplinari: il “taglio” di genere sarà trasversale alla ricerca; indubbiamente sarà fondamentale la prospettiva filosofica, ma anche quella della critica dell’economia politica, delle scienze sociali, dell’arte. Nel seminario, poi, si combineranno protagonisti del pensiero radicale mondiale e giovani ricercatrici e ricercatori, attiviste/i dei movimenti, associazioni e gruppi che più sperimentano sul piano del nuovo mutualismo, del sindacalismo sociale, della difesa e riappropriazione dei beni comuni. Una linea di demarcazione percorrerà la discussione, informando momenti specifici di confronto: una storia, quella dei comunismi (presunti) reali, è finita; se ne apre un’altra. Lo sguardo genealogico, la storicizzazione, sarà il modo di guardare all’idea. Renderà dunque possibile l’immaginazione di strade ancora da fare, battute poco o per nulla. Va da sé che solo la pratica politica potrà esplorare questi sentieri, il censimento indiziario delle prime tracce, però, non può che far parte di questa pratica. Altro elemento fondamentale: la scrittura di un nuovo Manifesto comunista o l’inizio di un processo che porti alla sua scrittura. Obiettivo ambizioso, certamente, e tuttavia inevitabile per un seminario che vuole afferrare, con il pensiero, il tempo convulso, discontinuo e drammatico nel quale siamo immersi.
Forme di scrittura collettiva saranno del resto non solo esito, ma anche pretesto e premessa del seminario. Una serie di domande avranno il compito di introdurre gli assi tematici e articoleranno le cinque giornate di discussione.

Assi tematici

I temi, intorno a cui verteranno le cinque giornate, sono i seguenti:

1. Comunismi

C’è una storia del comunismo, anzi dei comunismi. Comunismi realizzati, partiti comunisti scomparsi o ancora vivi, processi rivoluzionari sconfitti, interrotti. Modificazioni genetiche dei comunismi che hanno contribuito alla temperie del ‘900. Con questa storia, e non solo con l’idea del comunismo, è necessario fare i conti. Per conquistare al comunismo una nuova possibilità.

2. Critica dell’economia politica

Cos’è diventato il Capitale nel XXI secolo? Come intendere la “singolarità” del capitalismo neoliberale? Si tratterà per un verso di qualificare – su scala globale – la nuova composizione del lavoro e dello sfruttamento. Ma anche, chiaramente, la composizione del Capitale stesso, tra estrazione del valore e finanza. Per l’altro di percorrere gli antagonismi e la produzione di soggettività (ambivalente) che segnano das Kapital contemporaneo.

3. Chi sono i comunisti?

Chi sono i comunisti oggi? Quale il vettore organizzativo che, per dirla con Marx ed Engels, può favorire la «formazione del proletariato come classe»? Ancora: quale il rapporto tra lotte economiche e lotte politiche? E quali le pretese di una nuova politica economica che metta al centro il Comune? Un’indagine a tutto campo sui processi di politicizzazione, sulle pratiche che innervano o possono innervare questi processi.

4. Poteri comunisti

Si chiedeva Foucault alla fine degli anni ’70: è possibile una «governamentalità socialista»? Oggi che la governance globale definisce una nuova articolazione dello Stato e delle sue funzioni, la domanda di Foucault si fa non solo attuale ma urgente. Altrettanto: è possibile immaginare o costruire istituzioni che non convergono nella macchina statale? L’ipotesi federalista, il grande rimosso della crisi europea, è anche ipotesi comunista? Esiste una pratica comunista del diritto, oltre e contro la sovranità nazionale e il progetto neoliberale?

5. Comunismo del sensibile

Ciò che è in primo luogo Comune è l’«Essere del sensibile». Sensibile nel quale siamo immersi; sensibile della nostra prassi; sensibile delle relazioni, nelle quali siamo sempre gettati. Riflettere sul sensibile significherà anche e soprattutto mettere in tensione il Comune del comunismo con l’estetica, con la costruzione del sensibile, dei suoi orientamenti. Ancora: sarà un modo per riflettere sul rapporto/conflitto tra attività (creativa) e lavoro, tra opera e merce.
A partire dagli assi tematici, il confronto si disporrà tra workshop, conferenze, una tavola rotonda iniziale, un’assemblea finale, una mostra (a partire dal 14 gennaio).